"Ho messo in Caeiro tutta la mia forza di personalizzazione drammatica, ho messo in Ricardo Reis tutta la mia disciplina mentale, vestita della musica che le è propria, ho messo in De Campos tutta l'emozione che non ho dato nè a me nè alla mia vita".
Alvaro de Campos, terzo fondamentale eteronimo di Pessoa, è un ingegnere alto, bruno, elegante e un po' snob. Le sue opere, pubblicate sulle riviste letterarie, danno origine al modernismo, corrente che nella cultura portoghese rappresenta l'avanguardia in ogni sua forma.A differenza di Alberto Caeiro e di Ricardo Reis, la sua poesia è in continua evoluzione: parte da una condizione di assoluta decadenza fino a giungere ad un'appassionata adesione al futurismo.Eppure non mostra la gioia collettiva del demolire per poi ricostruire che caratterizza il movimento, anzi, negli ultimi anni le sue poesie saranno un progressivo distacco dai miti futuristi: un crescente ripiegamento su se stesso attraverso il conflitto mai risolto tra sè e il mondo. Gli ultimi anni... specchi di Pessoa.
Il Poema in linea retta non ha metafore: suona come accusa e coraggiosa confessione. Si legge d'un fiato. Non resta che riflettere.
Non ho mai conosciuto chi abbia preso legnate.
Tutti i miei conoscenti sono stati campioni in tutto.
Ed io, tante volte spregevole, tante volte porco, tante volte vile,
io tante volte innegabilmente parassita,
inescusabilmente sudicio,
io, che tante volte non ho avuto la pazienza di fare il bagno,
io, che tante volte sono stato ridicolo, assurdo,
che ho involto pubblicamente i piedi nei tappeti dell'etichetta,
che sono stato grottesco, meschino, sottomesso e arrogante,
che ho patito oltraggi e taciuto,
che quando non ho taciuto sono stato più ridicolo ancora;
io, che sono riuscito comico alle cameriere d'albergo,
io, che ho sentito lo strizzar d'occhi dei facchini,
io, che ho commesso vergogne finanziarie, chiesto prestiti senza pagarli,
io, che quando venne l'ora del cazzotto, mi sono rintanato
fuori della sua portata;
io, che ho sofferto l'angoscia delle piccole cose ridicole,
io verifico che non ho eguali in tutto ciò in questo mondo.
Tutta la gente che conosco e che parla con me
non ebbe mai un gesto ridicolo, non patì mai oltraggio,
non fu mai se non principe - tutti prìncipi- nella vita...
Volesse il cielo che udissi da qualcuno la voce umana
che confessasse non un peccato, ma un'infamia;
che raccontasse, non una violenza, ma una viltà!
No, sono tutti l'Ideale, se li odo e mi parlano.
Chi c'è in questo vasto mondo che mi confessi che una volta è stato vile?
O prìncipi, miei fratelli,
orsù sono stufo di semidei!
Dov'è che c'è gente nel mondo?
Allora sono solo io vile e fallace su questa terra?
Potranno le donne non averli amati,
possono essere stati traditi - ma ridicoli mai!
Ed io, che sono stato ridicolo senza essere stato tradito,
come posso parlare coi miei superiori senza titubare?
Io, che sono stato vile, letteralmente vile,
vile nel senso meschino e infame della viltà.
Alvaro de Campos