Mang Ke è un poeta contemporaneo che negli anni '70 intraprese una vera e propria rivoluzione letteraria contro i canoni classici della poesia cinese. Con la collaborazione di alcuni colleghi fondò una rivista, "Jintian", che fu pubblicata per circa due anni e contribuì a divulgare nuove forme di componimento, libere da ogni conformismo. Quando il regime costrinse i poeti a chiudere la rivista, Mang Ke entrò come operaio in una fabbrica e continuò a diffondere le sue opere clandestinamente. In seguito alla terribile repressione della protesta di Piazza Tiananmen, il poeta fu incarcerato per un breve periodo e nel 1994 diede alla stampa il romanzo "I giorni della bufera", prontamente censurato e inviato al macero. Soltanto dal 2001 fu possibile per Mang Ke pubblicare ufficialmente le proprie opere in Cina.
"Ritorno" è una sequenza di immagini nel caldo e nei colori, è l'attimo che scatena una fantasia travolgente... per poi trasformarsi nell'oscura delusione delle parole non dette, degli atti non compiuti.
Si scende
è colorato di verde
e di tutte le tinte
affollato in un giorno estivo soffocante
apparso nelle strade della città con fragore
a una fermata improvvisa
l'autobus festivo
è tramonto
mi basta un'occhiata per accorgermi di lei
occupiamo due posti non lontani
con le spalle rivolte a una notte indecifrabile
mi aspettava con inquietudine
in quel momento ho sentito su di me i suoi occhi
i suoi occhi grandi
ansiosi di staccarsi dalle orbite e volare verso me
e subito ho pensato allo scontro di due corpi
a una velocità fantastica
come sentire la rivoluzione delle stelle
una forza così grande
che si sprigioni fracassando le ossa
ma non è accaduto nulla di simile
nessuno di noi due sa come
siamo diventati pietra.
Mang Ke
Fra il 1933 e il 1934, anno della composizione di questo poema in lingua inglese, Borges attraversa un periodo di intensa produzione letteraria: i contenuti delle sue opere sono pervasi da un'intensa vena creativa, visionaria e simbolica, generata dalla reazione verso l'implacabile malattia che entro brevi anni lo condurrà alla cecità.
Ad una prosa rigorosa, talvolta graffiante, e distaccata dalle cose del mondo, si contrappongono però momenti di raffinato lirismo, di aderenza agli eventi della vita, che, come nel caso di questi versi, sfociano in una disarmante spontaneità.
Cosa si può offrire ad una donna per tenerla con sè? Borges non promette ciò che non possiede Porge semplicemente se stesso, il nocciolo di se stesso, con il dolore e la delusione accumulati nel corso degli anni. E un altro importante dono: "Ti offro spiegazioni di te stessa... autentiche e sorprendenti notizie di te". Che è come dire: "sono pronto ad ascoltarti, a seguirti, a sostenerti"... Non pronuncia la parola "amore", eppure è quello il suo regalo.
Con cosa posso trattenerti?
Ti offro strade difficili, tramonti
disperati, la luna di squallide
periferie.
Ti offro le amarezze di un uomo
che ha guardato a lungo la triste luna.
Ti offro i miei antenati, i miei morti,
i fantasmi a cui i viventi hanno reso
onore col marmo: il padre di mio
padre ucciso sulla frontiera di
Buenos Aires, due pallottole attraverso
i suoi polmoni, barbuto e morto,
avvolto dai soldati nella pelle di
una mucca; il nonno di mia madre -
appena ventiquattrenne - a capo di
un cambio di trecento uomini in Perù,
ora fantasmi su cavalli svaniti.
Ti offro qualsiasi intuizione sia
nei miei libri, qualsiasi virilità
o vita umana.
Ti offro la lealtà di un uomo
che non è mai stato leale.
Ti offro quel nocciolo di me stesso
che ho conservato, in qualche
modo - il centro del cuore che
non tratta con le parole, nè coi
sogni e non è toccato dal tempo,
dalla gioia, dalle avversità.
Ti offro il ricordo di una
rosa gialla al tramonto,
anni prima che tu nascessi.
Ti offro spiegazioni di te stessa,
teorie su di te, autentiche e
sorprendenti notizie di te.
Ti posso dare la mia tristezza,
la mia oscurità, la fame del
mio cuore; cerco di corromperti con l'incertezza,
il pericolo, la sconfitta.
Jorge Luis Borges
Libera traduzione da "Two English Poems" (seconda lirica):
What can I hold you with?
I offer you lean streets, desperate sunsets, the
moon of the jagged suburbs.
I offer you the bitterness of a man who has looked
long and long at the lonely moon.
I offer you my ancestors, my dead men, the ghosts
that living men have honoured in bronze:
my father's father killed in the frontier of
Buenos Aires, two bullets through his lungs,
bearded and dead, wrapped by his soldiers in
the hide of a cow; my mother's grandfather
--just twentyfour-- heading a charge of
three hundred men in Peru, now ghosts on
vanished horses.
I offer you whatever insight my books may hold,
whatever manliness or humour my life.
I offer you the loyalty of a man who has never
been loyal.
I offer you that kernel of myself that I have saved,
somehow --the central heart that deals not
in words, traffics not with dreams, and is
untouched by time, by joy, by adversities.
I offer you the memory of a yellow rose seen at
sunset, years before you were born.
I offer you explanations of yourself, theories about
yourself, authentic and surprising news of
yourself.
I can give you my loneliness, my darkness, the
hunger of my heart; I am trying to bribe you
with uncertainty, with danger, with defeat.
Jorge Luis Borges
Immagine di Julian Hill
A distanza di quarantadue anni dall'alluvione di Firenze il ricordo di uno di quei tanti ragazzi che, in nome di un ideale, contribuirono alla salvezza dell'arte e della storia. Fu il giornalista Giovanni Grazzini a chiamarli per la prima volta "angeli del fango" perchè a migliaia giunsero dall'Italia e dall'estero per recuperare dal fango l'inestimabile patrimonio culturale di Firenze. E quel nome è rimasto loro appiccicato addosso, un po' come l'odore del limo e del gasolio di cui i libri erano impregnati... E' nato un sito dedicato a quei ragazzi, che si chiama proprio come loro, Angeli del Fango, ed è ricco di fotografie, filmati e testimonianze, come questa, di Andrea Innocenti, angelo del fango
"Lacrime, rabbia, sensazione d'impotenza, ingoiate tutte insieme in un'umida mattinata di novembre, appoggiato alla balaustra del cavalcavia dell'Affrico, ad osservare un mare impetuoso d'acqua gialla e nera che si portava via auto, tronchi d'albero, carcasse d'animali e tante altre cose. Poche ore per riflettere, al buio, senza l'acqua, il gas, l'energia elettrica, il riscaldamento, cenando silenziosi al lume di candela o con qualche torcia elettrica, ascoltando una radio a transistor per conoscere e cercare di sapere che cosa stava succedendo lì intorno a noi. Ero completamente confuso: non mi ero mai trovato in una situazione simile, anche se mia madre mi aveva raccontato come fossero ben più terribili le tante ore passate in un rifugio sotto un bombardamento, sola, con due figli piccoli abbracciati a lei.
Poi, alla fine, arrivò l'alba del giorno dopo, e con essa la maturazione della voglia di reagire, di combattere in qualche modo il corso delle cose. Come non lo sapevamo: noi, fortunati noi, lambiti solamente dall'onda di piena, praticamente illesi, volevamo fare qualcosa. Un maglione amaranto, un paio di jeans, un paio di scarpe di gomma e via in quella parte del centro che era al momento raggiungibile per vedere se l'acqua se ne andava via, se si abbassava, per cercare qualcuno come noi che potesse darci un'organizzazione e un indirizzo, per qualcuno che ci dicesse che cosa fare. Purtroppo la confusione regnava sovrana: la mancanza di comunicazioni rendeva tutto difficile. Si sentiva parlare di una prossima ondata di piena terrificante, di centinaia di morti, senza mai avere una conferma e tornavamo a casa al buio e pieni d'angoscia, di fango, di un umido che ti entra nel corpo e nell'anima. Dopo qualche giorno poi le cose cominciarono a prendere una strada più logica: mentre eravamo ad aiutare un amico a liberare dal fango il proprio negozio, sentimmo che cercavano volontari per togliere il fango alla Biblioteca Nazionale e il giorno dopo eravamo lì. Ci fu indicato dove posizionarci in quell'incredibile ed enorme catena umana che stava spostando volumi dal piano inferiore a quello superiore. Non ricordo di dove erano quei ragazzi accanto a me, certamente molti non erano italiani, ma so che nacque subito una spontanea simpatia tra tutti. Bellissimo, per esempio, era il rito della nutrizione della catena: c'erano tre ragazzi che, ogni tanto, percorrevano tutta la catena offrendo un morso di un panino ed un sorso di vino e, a chi fumava, anche un tiro di sigaretta. Nelle pause tra un turno e l'altro riuscivamo anche a riunirci davanti ad un falò, cantando le canzoni dell'epoca, essendoci sempre qualcuno con una chitarra in mano (non ho mai capito dove la teneva). Era straordinario avvertire, come tanti ragazzi, di diversa nazionalità e forse estrazione sociale, fossero divenuti un unico corpo. Poi dopo il diluvio, come una speranza, ricominciarono i giorni di sole e quell'umido che ci aveva preso l'anima cominciò pian pianino ad andarsene via; la vita aveva ripreso così il suo corso naturale. Ma quell'odore inconfondibile di limo misto a gasolio ed altro, un po' mi è rimasto dentro. Ci sono giorni infatti che, forse a causa della grande umidità, in alcune vie del centro ho modo d'incontrarlo ancora e sempre mi chiedo "chissà dove sono finiti tutti quegli splendidi ragazzi!".
Andrea Innocenti
Grazie a Pierluigi Baglioni, la foto è sua.
L'erotismo che traspare da questi versi è avvolto da un desiderio quasi tangibile: nel buio della notte, un ricordo pieno di luce.
palpito amato, allora torna e prendimi,
che si ridesta viva la memoria
del corpo, e antiche brame trascorrono nel sangue,
allora che le labbra ricordano, e le carni,
e nelle mani un senso tattile si riaccende.
Torna sovente e prendimi, la notte,
allora che le labbra ricordano, e le carni..."
Costantino Kavafis
Foto: Man Ray
Teneri e spietati, sono i bambini che più si emozionano per l'arrivo del Natale. Richieste improbabili, sogni sgrammaticati ed un inquieto terribile dubbio...
"Sono sempre io Mariolina, ci ho ripensato. Al posto di una bambola con le pile ne vorrei una senza, perchè se no le pile inquinano. Mi sarebbe piaciuto essere figlia unica. Invece ho un fratello di cinque anni che si chiama Sandro fa la primina elementare e sta sempre dietro a mamma finchè non ottiene un regalo.
Senti Babbo Natale ma tu non muori mai? Quando ti ho visto l'altro Natale mi sei sembrato molto anziano e non vorrei proprio che nel frattempo fossi morto!
Potresti spedirmi i deplias del posto dove vivi?
Una delle tue renne non si è mai addormentata in viaggio?
Come fai ad essere ricco?
E' vero che fai film in televisione?
Perchè invece di andare con la macchina vai in slitta?
Ti dirò che la mia scuola è di colore rosa rossiccia.
Quando mio nonno stava male io piangevo. Ma anche adesso piango.
Tanti saluti, buon Natale e buon anno."
Mariolina - Porto Ercole (Grosseto)
"Babbo Natale;
vorrei chiederti se sei solo un signore che ci vuole prendere in giro o se esisti veramente (...) Un mio amico che era vicino di banco ha detto:Babbo Natale non esiste! Io sono rimasta scioccata perchè molti compagni hanno detto pure loro che non esisti e mi sono venute le lacrime nel naso però non le ho fatte vedere ma ho strillato:Babbo Natale esiste! Purtroppo tra quelli che dicono che tu non esisti c'è anche la mia amica Arianna: l'ho cancellata dal mio Club Anti Inquinamento. La mamma ha detto che non le porterai più i regali. E' vero?
Ti prego non farmi il dispiacere di non esistere, perchè tu per me sei il mondo e la vita e anche se non mi porti i regali. L'importante è che ci sei.
Rachele - Gambassi Terme (Firenze)
"Caro Babbo Natale
mi spiace molto, ma è andata così! Io non credo a te perchè non puoi essere venuto dal cielo e perchè non puoi essere ricco. L'anno scorso mi ero nascosto sotto la poltrona e ho visto papà e mamma che mettevano i pacchi sotto l'albero. E allora io dissi:Dove state andando? E loro risposero: A dormire. E i regali? ribattei io. Gli abbiamo trovati fuori dal portone dell'entrata. Dissero. Però io risposi: E come si spiega che siete andati fuori dal portone dell'entrata per prenderli?. Perchè avevamo sentito suonare il campanello. E io: Ma se non ho sentito niente che ero più vicino di voi!!! E papà: Forse non l'avrai sentito, a proposito tu cosa ci fai sotto il divano?
Ecco perchè io credo che Babbo Natale non esiste e i regali li comprano i nostri carissimi e buoni genitori. Ma io voglio ancora volerti molto bene. Che ci sei o no è un nostro segreto. Ti auguro tanti auguri."
Dino - San Gregorio (Catania)
Qualche anno fa, Federica Lamberti Zanardi, psicologa specializzata in comunicazione di massa, e Brunella Schisa, giornalista di "La Repubblica", ebbero la fortuna di poter accedere ad un ufficio speciale, all'interno del palazzone delle Poste all'Eur di Roma. Lo battezzarono "Ministero Babbo Natale" perchè raccoglieva migliaia di lettere scritte da bambini e destinate a Babbo Natale, ma anche a Gesù Bambino, Santa Lucia, Befana e San Nicolò. Ne nacque una raccolta buffa e commuovente, intitolata "Caro Babbo Natale non fare come l'anno scorso!" pubblicata da Mondadori.
I brani qui riportati appartengono alle pagine di quel libro. Più che il desiderio, raccontano il bisogno di credere in qualcuno che non può deludere, un bisogno che a volte si affaccia ancora, in lampi appena percettibili, nei frenetici Natali dei bambini cresciuti.