Versi caldi e luminosi per intonarsi alle giornate estive e la serena fermezza di un sentimento sempre vivo, anche per quando l'estate, stagione fugace, sarà finita... Shakespeare non si accontenta di paragonare il suo amore allo splendore dell'estate: la sua vita dura poco. E quando il caldo è soffocante o il vento schiaffeggia impietoso i germogli appena nati, le giornate estive tanto amate perdono un po' della loro radiosa bellezza. Un poeta può fare molto di più: può sfidare il tempo, fermandolo nella piena avvenenza di chi ama, può sfidare anche la morte nella sua pretesa di fatalità. E, con i suoi versi, vincere.
Dovrei paragonarti a un giorno d'estate?
Tu sei ben più raggiante e mite:
venti furiosi scuotono le tenere gemme di maggio
e il corso dell'estate ha vita troppo breve:
talvolta troppo cocente splende l'occhio del cielo
e spesso il suo volto d'oro si rabbuia
e ogni bello talvolta da beltà si stacca,
spoglio dal caso o dal mutevol corso di natura.
Ma la tua eterna estate non dovrà sfiorire
né perdere possesso del bello che tu hai;
né morte vantarsi che vaghi nella sua ombra,
perché al tempo contrasterai la tua eternità:
finché ci sarà un respiro od occhi per vedere
questi versi avranno luce e ti daranno vita.
Shall'I compare thee to a summer's day?
Thou art more lovely and more temperate:
Rough winds do shake the darling buds of May,
And summer's lease bath all too sport a date:
Sometime too hot the eye of heaven shines,
And often is his gold complexion dimmed;
And every fair from fair sometime declines,
By chance or nature's changing course untrimmed;
But thy eternal summer shall not fade,
Nor lose possession of that fair thou ow'st;
Nor shall death brag thou wander'st in his shade,
When in eternal lines to time thou grow'st:
So long as men can breathe, or eyes can see,
So long lives this, and this gives life to thee.
William Shakespeare, sonnet XVIII
Dipinto: "Circle - Dance" 2002 di S.Atzori
"Il mio scopo era di realizzare un sogno, sapete come succede: vi viene un'idea in testa, non vi lascia più e riuscire a realizzarla è la cosa più gratificante del mondo".
Così, un piccolo aereo ha lasciato Yves Rossi nell'azzurro del cielo di Calais e i quattro reattori delle sue ali hanno volato con lui. 2.500 metri di quota. 160 km di velocità. 12 minuti di sogno. Quando la costa di Dover è apparsa sotto i suoi occhi, l'uomo-uccello ha spento le ali e si è lasciato scivolare dolcemente, appeso ad un paracadute. Chi era a terra ad accoglierlo, sta ancora trattenendo il respiro.
"Tra gli esseri umani, mormora Osip, accade come nella poesia quando riconosci la parola predestinata ai versi: nella tua vita entra una persona che non avevi mai visto prima, ma è come se avessi sempre avuto il suo viso accanto."
Osip è il nome di battesimo del poeta russo Mandel'štam; la persona che entra nella sua vita, come la parola giusta nei versi di una poesia, è Nadeda Chazina , sua moglie. La loro storia si legge come un romanzo, ma è una storia vera: Elisabetta Rasy, con "La scienza degli addii" ha svaligiato le biblioteche per consegnarci, in una narrazione scorrevole e avvincente, la vita spezzata di due amanti, l'odio feroce della guerra civile.
Nadeda, giovane e fragile borghese un po' viziata, incontra Osip nel 1919 in un ritrovo di giovani artisti e, a dispetto degli abiti che gli pendono addosso e dell'aria trascurata di chi ha sempre la testa altrove, viene conquistata dalla sua voce e dalle parole. Parole che non ha mai sentito, parole di poeta. Mentre la Russia, giorno dopo giorno si sfascia sotto i colpi della rivoluzione, il loro amore cresce, si fortifica e si unisce alla poesia, vissuta come un avvenimento costante e necessario, unica ricchezza e, soprattutto, unica forma di libertà. Con l'inasprirsi della dittatura staliniana, Mandel'štam verrà deportato in Siberia e non tornerà più. Nadeda, esile e vulnerabile solo in apparenza, nascondendo, ricopiando e distribuendo per anni i versi di Osip, ne diventerà la memoria, donando alla sua voce il suono dell'immortalità.
"Sappi che mormoro, e che mormorando ti affido al raggio che dura in eterno, bambina mia"
Isadora: " Ricordo quando ti ho visto per la prima volta. Avevi 27 anni e una bellezza che incantava..."
Sergej: " E tu eri piccola e rotonda... irresistibile. Chissà perchè quel vezzo di abbassarti l'età: erano 45, non 37... 45 anni di fascino travolgente."
Isadora: "Sì, avevo appena ricominciato a vivere. I miei bambini... Ero con loro e con Singer, sai, quello delle macchine da cucire. Era innamorato di me, voleva sposarmi e siamo andati a festeggiare tutti insieme in una pasticceria di Parigi. Poi ho lasciato i bambini con la governante e l'autista, dovevano tornare a casa. Hanno detto che a un certo punto il motore si è spento l'autista è sceso per girare la manovella, ma non ha tirato il freno a mano e l'auto... l'auto è finita nella Senna, con dentro i bambini. I miei bambini. Non so come ho fatto a sopravvivere, sono stati anni terribili."
Sergej: "Lo immagino... Poi è arrivata l'occasione di portare la tua danza in Russia. Che momenti grandiosi: tu danzavi scalza, avvolta in pochi veli... seguivi la musica o era la musica che seguiva te? Eri tu la musica, eri natura, eri poesia..."
Isadora: " Poesia... scrivevi versi che io capivo a malapena, ma era la tua voce ad esaltarmi, la tua sensualità a farmi muovere ovunque, anche sopra i tavoli, vinta dalla passione. Ricordi quanto ridevamo quando qualche benpensante scandalizzato ci cacciava dai locali? Per te ho perso la testa, il cuore e tutto ciò che avevo. Ti ho sposato, proprio io, che non avevo mai voluto un marito tra i piedi... Ma tu, Sergej, mi hai amata davvero?"
Sergej: " Credo di sì. Non riuscivo a stare senza di te. Lo so, spesso mi ubriacavo, diventavo violento, ti picchiavo... Ero fatto così. Avevo in testa mille preoccupazioni per il mio paese: stava cambiando e io dovevo esserci. Ero inquieto, insoddisfatto, non capivo la tua lingua. Quando mi hai portato in America mi sono sentito a disagio: lì non ero nessuno, solo "il marito russo della Duncan" e i pigiami di seta, gli abiti costosi, non mi bastavano più. Hai fatto di tutto per farmi restare, ma io avevo bisogno della mia gente, della mia patria."
Isadora: " Eri un'anima in pena, proprio come me. L'amore non è servito a guarire le nostre ferite, a tenerci uniti. In Russia non è andata come speravo: mi avevano promesso una scuola di ballo da dirigere a Mosca, avrei voluto portare la mia arte alle piccole figlie della rivoluzione, avrei voluto danzare per il popolo che non aveva denaro per assistere ad uno spettacolo... ma non è successo. Neanche io potevo restare nel tuo paese."
Sergej: " Così è finita. Ho avuto altri amori, ma nessuno mi ha salvato."
Isadora: " L'ho letto sui giornali. La morte. E' stata lei a salvarti, stringendoti le mani intorno al collo. Dicono che forse non l'hai cercata, che qualcuno l'ha fatto per te."
Sergej: " Oh, non è importante... ho trovato la pace. So che due anni dopo è successo anche a te. La morte è arrivata e ti ha stretto il collo. Ma come hai potuto essere così ingenua da lasciar svolazzare una sciarpa tanto lunga da infilarsi tra le ruote dell'auto? L'avrai mica fatto apposta...?"
Isadora: " Oh, non è importante. Ho trovato la pace."
Dialogo liberamente tratto dai testi biografici:
"La mia vita" I. Duncan Dino Audino Editore
"Poesie e Poemetti" S. Esenin a cura di E. Bazzarelli Ed. Bur